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Grande occhio

Claudia Bessi

Mario Lovergine per me era una nuvola con due occhi scintillanti. Una nuvola folta di capelli e barba ma neanche un pelo sulla lingua.
Di lui mi ricordo l’immaginario e il punto di vista sul mondo. Ci insegnava a dare sempre un peso alle parole ma avendo la leggerezza di non affondare dentro alle proprie idee. Ci insegnava a lasciarle fluire e danzare su un quaderno, insieme a pensieri e sogni, prima di dar loro forma. Dovevamo scordare quello che ci saremmo aspettati da una classica attività didattica ed entrare in un luogo di fantasia, dove la fantasia era la cosa più materica, concreta e carica di significato ed esistenza che potessimo apprendere. Parole, riflessioni, schizzi, appunti… tutto è importante per dare spazio a un’idea e farla crescere senza troppi limiti se non quelli dettati dal senso etico di un progetto.
Ricordo le sue lezioni come occasioni sempre nuove di esperienze, suggestioni e riflessioni. Sono stata rapita dalle sue illustrazioni e dai suoi autoritratti per il modo in cui ci leggevi un mondo interiore. Lo vedevi, con quegli occhiali rotondi e il sigaro fumante, immerso in tinte blu o passeggiare in compagnia di grandi pesci volanti, morbide vulve e gatti sornioni. Mi è sembrato quasi di sentirlo, mentre realizzavo il suo ritratto, sorridermi con gli occhi e dire qualcosa di irriverente e dolce allo stesso tempo.
Così ho scelto di contribuire alla mostra “Mario Chi?” con un ritratto di Lovergine per raccontarlo come l’ho conosciuto: come una grande porta aperta sul suo mondo. Una porta sempre aperta per chi si concedeva il piacere di poter essere un bravo dilettante.

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