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Stefano Bettega

Allievo, collega e amico di Mario Lovergine

Stefano Maria Bettega è indubbiamente uno dei Lover di Mario Lovergine. Dapprima suo studente del corso di grafica presso l’ISIA di Firenze e, successivamente, amico e collega, ci racconta dei curiosi aneddoti in grado di rappresentare l’esuberante e vivace personalità di Mario. 
In un piacevole colloquio, colorato dalla presenza di tre affettuose gattine ed un buon bicchiere di porto, ripercorriamo alcuni episodi di vita che hanno accomunato due grandi personalità estremamente creative e fuori dal comune. 

Cosa ha rappresentato Mario all’interno dell’ISIA di Firenze?

Penso sia sempre stato uno stimolo e una coscienza critica per l’ISIA, con una grande vivacità. 

Nel libro “Mario Lovergine. L’ambiguità dell’essere. Arte, professione e vita” si può trovare la citazione “ciò che a me sfugge lo insegno”, è piuttosto interessante nonché apparentemente contraddittoria. Pensa che in qualche modo i professori riescano a dare un ordine alle cose senza riuscire pienamente a comprenderlo?

Mario effettivamente stava esprimendo un paradosso in quella situazione. Io non credo che sia così, per la mia esperienza dubito sia così. Però l’immagine che ne esce è interessante, è una bella iperbole ecco.

Come è cambiato il suo rapporto con Mario da studente, collega e successivamente amico?

Posso tranquillamente dire che le cose sono migliorate. Quando era docente il lo avrei schiacciato con la macchina, però era un po’ il suo modo burbero di agire e di affrontare la funzione didattica. 
Il nostro rapporto era piuttosto conflittuale all’epoca, io avevo un 18 sul libretto, me lo aveva dato Mario all’ultimo esame di grafica. Lui si presentò con gli occhiali scuri e io misi i miei. Anche se era giugno e una giornata di sole, a un esame del genere è necessario guardare i materiali. Questo suo atteggiamento in quell’occasione mi parve un comportamento a metà tra la provocazione e la mancanza di rispetto, quindi ero piuttosto risentito. 
Una volta concluso il mio percorso di studi all’ISIA ci fu subito un riavvicinamento, di lì in avanti divenimmo amici e questo rapporto si è mantenuto grosso modo simile anche negli anni successivi quando saremmo diventati colleghi. Anzi devo dire che il rapporto si è, nel corso del tempo, andato consolidando e tranquillamente evoluto in un legame di affetto reciproco.Un anno mi ricordo, per il suo compleanno - 23 agosto - gli regalai una bottiglia e lui decise di depositarla in direzione da me. A metà mattinata si presentava e, anziché bere il caffè che facevano le signore, riempivamo il tappo della bottiglia e lo bevevamo. Era anche un tappo abbastanza grosso, uno shottino a mezza mattina! 
Nel corso del tempo siamo diventati molto più amici di quando lo conobbi. 

Mario oltre a designer è stato anche un grande artista. Pensa che questo abbia in qualche modo influito nella sua produzione e portato benefici ai suoi lavori, nonché alla sua professione di insegnante?

Indubitabilmente ha influito nella sua attività di designer, non vedrei come fosse possibile altrimenti. È difficile fare un discorso non pesantemente retorico sulla figura dell’artista, ma Mario era così. È uno che questa sua vis creativa non la perdeva mai e, naturalmente, ha condizionato o influito su tutti i suoi ambiti di intervento: quello artistico, quello progettuale e quello didattico. Era un artista si vedeva e si percepiva. 
Diciamo che forse nel corso degli anni il suo approccio didattico sarebbe potuto essere diverso. Questo condizionamento, nel suo essere artista verso tutte le altre attività che svolgeva, secondo me ha influito in maniera forse un po’ troppo decisa la sua attività didattica e forse è per questo che lo ho criticato e contestato da giovane.

Quale è stato il rapporto di Mario con la Puglia, sua terra di origine; con l’America, territorio di scoperta e, infine, con Firenze, la città che lo ha accolto? 

Questo è un aspetto su cui so dire poco, in particolare rispetto al rapporto con la sua terra natale, però ho un aneddoto divertente. Se ne è andato quasi subito dalla Puglia, gli stava stretta e si capiva, l’avrebbe poi forse riscoperta come fanno tutti gli immigranti standole lontano. L’aneddoto è molto divertente e la dice lunga su come era fatto. 
Mario frequentò un liceo artistico a Bari e, molti anni dopo averlo lasciato, quindi quando era già diventato un professionista affermato, protagonista della grafica nazionale e forse anche internazionale, al suo vecchio liceo si ricordarono di lui e lo invitarono a una cerimonia per l’attribuzione di non solo quale onorificenza, come ex allievo che si era distinto nella professione artistica in senso lato. 
Mario ci andò e scoprì che la prolusione veniva fatta da uno degli insegnanti che aveva mal tollerato ai tempi del liceo. Mi disse chiaramente che lo considerava un fascista e a Mario questi individui non andavano giù. In un Aula Magna piena di studenti, di ospiti, di notabili, di insegnanti di tutto il liceo, questo pover uomo comincia il suo discorsino di circostanza in modo solenne:“Questo ex allievo che è andato nel mondo e ha tenuto alto il nome della nostra città, della nostra terra, del nostro liceo. Questo artista, questo professionista, questo designer, questo docente”, Mario scuoteva il capone e alla fine di questo discorso elegiaco si rivolge a lui direttamente dalla platea dicendo “E te sei un pezzo di merda!”. 
Mario era così, non le teneva, non aveva paura di dirle, non aveva nessun imbarazzo. Da un lato penso configuri parzialmente il suo rapporto con la terra d’origine, dall’altro può tranquillamente far capire che era un uomo che non aveva mezze misure. La moderazione gli era totalmente sconosciuta, anzi, invisa in maniera radicale.

Con Firenze probabilmente ha un rapporto elettivo da figlio adottato. Si era creato una sua dimensione a Firenze, aveva trovato molti amici, aveva la sua routine, stava bene in centro. Se uno voleva trovarlo passava da Mastro ciliegia dove lui mangiava a pranzo e a cena… è diventata la sua città.

Sugli Stati Uniti non so dire molto, Mario raccontava spesso due episodi, anzi più di due ma questi sono quelli che io ricordo. 
C’è un film di qualche anno fa che si chiama “Tanino” e racconta una storia simile. Lo ricordo perché guardando questo film mi era venuta in mente la storia che Mario mi aveva raccontato precedentemente. Insomma, lui prende armi e bagagli e va negli Stati Uniti, si presenta alla porta di questa che non si fa né in qua né in là, lo scarica proprio. So che la sua reazione fu piuttosto calda, però non so come andò a finire con la signorina in questione perché, anche con le donne, lui non aveva grandi diplomazie.
Andò in America soprattutto per conoscere i grandi maestri della grafica del Bauhaus e non solo che erano, in seguito alle vicende della seconda guerra mondiale, per la gran parte esiliati negli Stati Uniti. Lui si recò proprio a bussare alla porta di questi maestri - non li ricordo esattamente tutti - perché voleva capire, chiedeva cos’è l’arte, cos’è il design… insomma era uno che si dava da fare e che non aveva problemi a esporsi, per lo meno a quell’età. 
Morale della favola, c’è un altro episodio. A un certo punto lo troviamo vicino a New York a fare il fotografo con un suo amico e decidono di andare nel Wyoming, uno stato dll’America nord-occidentale, dove ci sono più vacche che cristiani. Avevano un incarico per conto delle Nazioni Unite, forse un documentario fotografico. All’epoca Mario aveva i capelli lunghi e i baffoni, era quello che chiamavano hippy. Ebbene, con l’amico arrivano in questa località sperduta del Wyoming e vengono accolti ufficialmente dalle autorità locali. Vengono messi in qualche maniera sotto protezione poiché questi individui strani, in questo posto di contadini abbastanza tradizionalisti, non erano molto ben visti. Mario ha sempre raccontato che i ragazzi adolescenti venivano portati dai genitori o dai poliziotti a vedere lui e il suo amico, come se fossero dei fenomeni equestri o da circo insomma. 

Cosa direbbe a Mario se fosse qui adesso?

Eh questa gliela devo dire. “Moriremo democristiani!”. 

Avevo capito la domanda in altro senso, ossia cosa direbbe Mario se fosse qui. Userebbe probabilmente nei confronti di molti le stesse parole che ha usato per quel suo vecchio professore!

Mario mi ha insegnato tante cose, non soltanto nella grafica e mi manca. Mi manca perché ultimamente lo vedevo poco ma ci sentivamo spesso, si chiacchierava e lui era sempre molto ironico. “Maestro” mi telefonava e si lamentava che io non lo chiamassi. Magari lo avevo contattato la mattina stessa e lui non mi aveva risposto. 
Aveva un cruccio ultimamente, sentiva che stava perdendo un po’, che aveva un piccolo calo cognitivo. Ricordo che una volta lo invitammo a cena, noi eravamo preoccupatissimi perché Mario non si vedeva, lui ci confessò di essersene totalmente dimenticato. Per questo era un po’ preoccupato ultimamente e tendeva a fare l’orso in letargo, malgrado la sua vena molto socievole nei confronti di quelli a cui voleva bene. Si è un po’ allontanato, forse non voleva mostrarsi debole sotto questo aspetto. 

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